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Il 10 ottobre 2010 Ha Noi compie 1000 anni, la propaganda socialista organizza l’evento nel segno di una orgogliosa rinascita. Mentre l’Europa e l’Euro accusano i colpi della crisi, vittime di una politica attendista fragile ai venti del cambiamento, gli equilibri geopolitici mondiali si riassestano in vista di un acclamato “Secolo del Pacifico”, che vede contrapporsi da un lato gli Stati Uniti, in cerca della via di uscita da decenni di neoliberismo, dall’altro la Cina che ha imposto, non a caso al forum internazionale sul clima a Copenhagen, il suo nuovo peso politico. Il Vietnam occupa in questo contesto una posizione strategica eccezionale e rappresenta un ottimo osservatorio sulle dinamiche di un mondo nuovo, perlomeno nuovo al mercato in cui si sta imponendo con tassi di crescita a doppie cifre, e con una rapidità devastante che dalla nostra posizione sempre più periferica facciamo fatica a cogliere. Necessariamente il cambio di valuta chiave, sul mercato internazionale, deve coincidere con l’apertura di una nuova fase nel pensiero progettuale. Il tema obbligatorio è quello del rapporto sostenibile tra città e territorio; come in campo economico quello del rapporto tra produzione e consumo. Nel bene e nel male l’Asia sarà il teatro di queste vicende. In occasione del suo millesimo compleanno Ha Noi promette di diventare, con l’aiuto di grandi corporations urbanistiche americane (Perkins Eastman) e coreane (JINA), la prima capitale sostenibile del mondo. Ma i propositi di sostenibilità spesso sono solo slogan di facciata, destinati presto a scontrarsi con gli sconvolgimenti sociali in atto. Le tradizioni del phong thuy (scienza del vento e dell’acqua), sono state, nella storia di Ha Noi, la base di una coerente relazione di equilibrio tra l’urbano e i “corpi dell’acqua”. La corsa asiatica alla competizione finanziaria ha accelerato i tempi dell’urbanizzazione, creando uno strappo violento nello sviluppo degli insediamenti umani. Ha Noi mangia il suo territorio senza alcuna lungimiranza, cresce per annessi, rimandando la sua immagine finale ad un fittizio masterplan economico-politico, il cui compito rimane quello di incassare al meglio al suo interno i differenti gradi di compromesso e le situazioni di emergenza, che via via la città dovrà affrontare nella sua pulsione espansiva. Le previsioni sull’innalzamento dei mari, i trend di inquinamento, e l’esponenziale aumento della posta in gioco in termini sociali (il tasso di urbanizzazione mondiale ha ormai superato la soglia del 50%), impongono ormai anche agli investitori ragionamenti in merito alla sostenibilità del progetto urbanistico, in quanto i tempi del cambiamento sociale e climatico eguagliano quelli del ritorno del capitale investito. Il modello di sviluppo urbano fatto per “copy-paste” è destinato a fallire. Il suo rifiuto verrà esternato lentamente dalla storia che ne dimostrerà a posteriori i danni causati, o forse, più violentemente, tramite posizioni di rivendicazione delle identità e delle specificità di singole comunità o Paesi. Ha Noi si trova nell’area del delta del Song Hong, un’infrastruttura che grazie ai suoi 1149 km di lunghezza si connette con la Cina a nord e con le rotte commerciali oceaniche attraverso il porto di Hai Phong, affacciato sul Golfo del Tonchino. I numerosi bacini idrici che compaiono nel tessuto urbano, oltre ad essere luoghi di stoccaggio dell’acqua, sono fondamentali centralità culturali: i numerosi templi che sorgono sulle rive, le pagode e le passeggiate lungolago costituiscono momenti di decompressione dalla frenesia della strada, sono occasione di svago e di aggregazione sociale. I laghi, così come il letto del fiume, sono gli spazi del vuoto, superfici che lottano contro la speculazione e l’uso forsennato del suolo; restano come isole nell’ambiente saturo della città, testimonianza di un possibile equilibrio nella contemporanea vita urbana. La progressiva scomparsa degli spazi dell’acqua causa la diminuzione della capacità di ritenzione idrica, la perdita di luoghi pubblici e una pericolosa vulnerabilità alle inondazioni. Pensare l’assetto della città di Ha Noi significa tornare a progettare la convivenza tra insediamento umano, acqua e territorio; il concetto di limite urbano tende a dissolversi nell’aderenza al tempo ciclico del fiume, alla comprensione e alla compartecipazione ad un unico sistema complesso.