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Il rapporto col monumento storico e quindi una nuova ottica di giudizio per quanto concerne la definizione stessa di monumento architettonico, e il suo trattamento a livello del restauro e del suo riutilizzo sono i principali temi del mio lavoro di diploma. Mi riferisco piuttosto a quella parte del patrimonio architettonico che sembra aver perduto col tempo un suo ruolo riconoscibile. Ruolo che è andato perduto per motivi diversi: per le vicende storiche, per i danneggiamenti, per le trasformazioni, per i restauri anche, che l'anno falsificato, reso irriconoscibile. Per dirla un po' schematicamente, quasi sempre in questi casi il manufatto antico da un lato appare come una cosa perduta, finita, caduta appunto in rovina, isolata, estranea alla vita quotidiana, dall'altro lascia apparire invece con evidenza la sapienza costruttiva, la coerenza dei mezzi, delle tecniche, dei materiali, la maestria esercitata, ecc., il suo essere cioè ancora una “lezione di architettura.” Renato Bonelli, alla voce “Restauro architettonico”, sull'Enciclopedia universale dell'arte 1963, riassume molto bene la mia volontà: “Nel restauro critico, due diversi impulsi si contrappongono: quello di mantenere un atteggiamento di rispetto verso l'opera in esame, considerata nella sua conformazione attuale, e l'altro di assumere l'iniziativa e la responsabilità di un intervento diretto a modificare tale forma, allo scopo di accrescere lo stesso valore del monumento”. Far convivere le due attitudini in un unico progetto è la sfida che mi sento di lanciare. Non vorrei sembrare arrogante o troppo sicuro nelle mie intenzioni; al contrario il mio sentimento piuttosto è quello di essere in trappola. Il valore della rovina e il fascino di quei frammenti non possono essere messi in discussione così come sono convinto che il castello di Mesocco non possa restare unicamente un'icona o un museo di se stesso. Le due cose dunque devono poter in qualche modo coesistere.